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“Cocaina, migliora la qualità della vita nei pazienti che intraprendono un percorso comunitario”: Lo studio di Comunità Incontro Onlus.

“Predittori clinici e psicopatologici nel disturbo da uso di cocaina: uno studio di follow-up a tre mesi”. E’ questo il tema dello studio condotto dalla Comunità Incontro Onlus di Amelia (Terni) sul complesso tema della dipendenza da sostanze psicoattive, nello specifico da cocaina. Un lavoro, che ha preso a campione 70 soggetti impegnati in un percorso terapeutico-riabilitativo a carattere residenziale per un disturbo da uso di cocaina, talvolta in comorbilità psichiatrica, al fine di effettuare un’approfondita caratterizzazione dal punto di vista sociodemografico, clinico e psicopatologico. L’obiettivo primario è stato quello di individuare, nell’ambito di tali variabili cliniche e psicopatologiche, i possibili fattori predittivi di conseguenze, “out-come”, in soggetti affetti da disturbo da uso di cocaina. Inoltre, si è indagato anche per verificare come dal momento dell’ingresso nella struttura terapeutica a tre mesi di periodo comunitario maturato, i sintomi depressivi, la spinta edonico-volitiva, i livelli di craving – ovvero la ricerca ossessivo-compulsiva della sostanza e il desiderio incoercibile di utilizzarla – e lo stato di salute generale cambino in funzione della durata del percorso di recupero.

Lo studio è stato ideato e curato per la Comunità Incontro, dalla Dott.ssa Martina Nicolasi, psicologa dell’equipe multidisciplinare operativa nella sede di Molino Silla ad Amelia, e per i risultati conseguiti è stato premiato nell’ambito del 7° Congresso nazionale SIPaD, Società Italiana Patologie da Dipendenza, svoltosi nei giorni scorsi a Roma.

Il campione, è stato reclutato presso la Comunità Incontro Onlus, nell’arco temporale compreso tra Novembre 2021 e Maggio 2022. L’analisi statistica, condotta secondo i più moderni modelli di riferimento, ha evidenziato un miglioramento complessivo sul piano psicopatologico dopo tre mesi dall’inizio del percorso terapeutico residenziale, nello specifico per quanto riguarda la salute psichica, dei sintomi depressivi, e dello stato di benessere generale.

L’aspetto interessante emerso dal presente studio riguarda i livelli di craving: si evince, infatti, come un percorso comunitario di tre mesi rappresenti, un lasso temporale breve per riuscire ad ottenere una riduzione significativa di tale dimensione seppur a fronte di un significativo miglioramento di altri aspetti psicopatologici quali depressione, anedonia, salute mentale etc. La rilevanza di tale dato risiede nelle implicazioni clinico-terapeutiche sottolineando l’importanza di proseguire il progetto di cura per un lasso temporale congruo e di intraprendere, pertanto, percorsi terapeutici a carattere residenziale più duraturi che aiutino a ridurre il rischio di ricadute e migliorare l’aspettativa a lungo termine dei pazienti.

Sono state condotte, inoltre, delle analisi di correlazione che hanno rilevato un’associazione significativa tra il craving e l’età di esordio dell’uso della sostanza: minore, infatti, è l’età d’esordio, maggiore è l’effetto del craving.

Infine, l’ultimo costrutto con cui si è rilevata una correlazione statisticamente significativa è l’aggressività fisica. Sono innumerevoli gli episodi di aggressione fisica sia in fase di intossicazione che di astinenza da sostanze con un maggior rischio di illeciti e conseguenti problematiche legali, rilevate nel 30% degli ospiti di tale studio. La gestione dell’aggressività rappresenta un ulteriore ambito di intervento terapeutico – psicologico e talora farmacologico – durante il percorso comunitario.

Lo studio condotto dalla Comunità Incontro, sottolinea dunque l’importanza di una caratterizzazione ad ampio spettro al fine di poter personalizzare maggiormente gli interventi di cura e migliorare la qualità di vita dei pazienti che intraprendono un percorso comunitario.

Foto: CI ©

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