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“Filosofia Mon Amour”: intervista doppia ad Alessandro Chiometti e Federico Piccirillo

Nelle serate del 9 e del 10 luglio, a Terni, al Centro Sociale dell’Associazione Guglielmi, si tengono le serate di Filosofia mon amour, quest’anno dedicate al rapporto tra utopie filosofiche e distopie letterarie, tenute dal Presidente dell’Associazione Civiltà Laica, Alessandro Chiometti, e dal Professore Federico Piccirillo, anch’egli membro dell’associazione nonché di Amnesty International. Nella serata dedicata a Thomas More e Isaac Asimov (stasera ci sarà il confronto tra Francis Bacon e Philip K. Dick) abbiamo fatto loro alcune domande.

Come nasce il progetto Filosofia mon amour?

A: -Nasce con l’intenzione di fare una scuola popolare di filosofia, come si faceva tempo addietro, l’idea non è originale, di scuole popolari ce ne sono state tante per molto tempo, per avvicinare le persone a temi che, magari venendo dalle scuole tecniche o essendo state distratte o avendo snobbato gli autori al liceo, non conoscono, ma di cui ora sono curiose. Portare la filosofia in modo popolare a chi vuole saperne di più, grazie anche alla disponibilità di Marcello Ricci, professore storico di filosofia della città di Terni che ha formato tutti noi di Civiltà laica. Il progetto era suo, noi lo stiamo portando avanti.

F: -Dall’estate 2011, il nostro intento è quello di rendere la filosofia non qualcosa riservato a una cerchia di eletti o distaccato dalla realtà concreta, ma di metterla a disposizione di tutti, a prescindere dalle diverse formazioni personali. Non si tratta solo quello di trasmettere nozioni, ma di discutere e comunicare determinate problematiche facendo nascere un dibattito e accendendo le intelligenze di ognuno in un clima di completo dialogo. Anche perché la filosofia fondamentalmente è questo: dialogo, confronto di tutti su ogni problema.

More e Asimov, Bacon e Dick nell’edizione di quest’anno tra utopia e distopia. Dopo questo periodo “distopico” che ci siamo trovati a vivere quali autori credete che si siano avvicinati di più alle possibili svolte della realtà e di quali opere letterarie e filosofiche auspichereste la realizzazione?

A: -Domanda impegnativa su due piedi! Mi verrebbe George Romero, anche se non è filosofico, per l’epidemia zombie! A livello letterario l’apocalisse virale è stata scritta tempo addietro da Stephen King in quell’enorme capolavoro che è L’Ombra dello scorpione, che descriveva benissimo cosa sarebbe successo con un virus terribile (che per fortuna non è il covid19, ma uno molto più cattivo che nel giro di pochi mesi stermina il 99% della popolazione mondiale). Tra gli altri autori che hanno anticipato l’epidemia c’è sicuramente l’autore di Spillover, di cui ora si parla molto, che anticipava nel 2014-2015 anticipava un virus partito da una mutazione di un pipistrello mangiato da un maiale in Asia; ce ne sono stati altri. Perché? Perché erano anni che si diceva che nel sud est asiatico c’era il rischio di molte pandemie virali (e alcune ne abbiamo avute, come la SARS, l’Aviaria, la Suina…); erano state contenute. Questo coronavirus non è stato contenuto e ora ne paghiamo le conseguenze, ma erano anni che c’erano le avvisaglie della scienza. Gli autori che si sono avvicinati di più sono sempre stati gli scienziati. Peccato che si ascoltino solo in tempi di pandemia! Comunque ho letto uno studio recente che ha provato che chi legge e vede storie horror ha affrontato meglio la quarantena. Leggete storie horror per andare sul sicuro!

F: -Se dobbiamo dire a cosa ci avviciniamo di più, la distopia è il tipo di realtà cui siamo più vicini. Non voglio dire che siamo ai livelli di George Romero ne La notte dei morti viventi, però questo lockdown ha creato un raffreddamento delle relazioni sociali. Il distanziamento e la tecnologizzazione della cultura, dello spettacolo, dell’arte, ha molto raffreddato tutto quel tessuto empatico che deve caratterizzare iniziative di questo tipo. Credo che tutti preferiremmo gli scenari di More e Bacon e delle loro utopie: una società più giusta ed egualitaria, un sano rapporto tra uomo e tecnologia. L’utopia indubbiamente può sembrare irrealizzabile, ma sta sempre in agguato, ed è questa la sua forza: attraverso la mediazione della praticità in senso machiavelliano c’è il riferimento dell’utopia che continua a pungolare (o almeno dovrebbe farlo) le nostre coscienze. Non avremo L’Isola che non c’è di Tommaso Moro o La nuova Atlantide di Bacone domani, però, se lavoriamo gradualmente tenendo sempre presenti questi scenari, chissà che non riusciremo a realizzarne un buon 40 o 50% nei decenni.

Come pensate che dovrebbe essere affrontata la divulgazione culturale in questo periodo?

A: -Già che si faccia divulgazione culturale è una bella cosa. Solo che anche basta coi mezzi che abbiamo usato durante la quarantena! Non perché io sia contro la tecnologia o antimoderno, ma perché i social hanno fatto già molti danni, perché ci hanno fatto diventare asociali dentro al social. Non rinunciamo ai nostri spazi comuni di confronto, vis a vis, in cui si possono fare domande in modo diretto e non nascosti dietro all’anonimato impersonale di una chat. Le dirette online servono per alcune cose e serviranno sempre di più, ma non per il virus: magari ci troveremo a coordinare cose da posti diversi del globo, uno da Mosca, uno a Madrid, uno a Berlino, e va benissimo usare Skype e simili in tal senso. Ma per fare cultura dal basso in una città come Terni è ora di dire basta a questi mezzi online.

F: -L’ultima parola, quando si parla di pandemie, deve essere data alla scienza. Spero che, quando sarà possibile da un punto di vista medico e legislativo, si torni immediatamente alle iniziative in presenza, senza mezze misure, perché i webinar e le conferenze a distanza vanno a ledere l’elemento caratterizzante delle iniziative culturali, cioè la comunicazione (che non è mera trasmissione di informazioni). La comunicazione può avvenire solo in presenza, senza filtri e senza schermi.

Siete entrambi impegnati in associazioni per i diritti umani, Civiltà Laica e Amnesty International; cosa ne pensate del movimento #BlackLivesMatter e della legge contro l’omotransfobia?

A: -La legge contro l’omotransfobia sarebbe semplicemente un gesto di civiltà. Mi sembra una legge necessaria quantomeno a disincentivare un comportamento di origini tribali, contadine e religiose che ormai non ha più senso di esistere in una società che abbia i minimi requisiti per essere civile. Spero che riescano a farla, anche se onestamente dubito che potrà passare con questo governo. Stasera abbiamo parlato di Asimov: lui diceva che l’omosessualità dovrebbe essere uno dei diritti dell’uomo. Invece qui sentiamo ancora gente parlare di “contronatura” senza sapere nemmeno di cosa sta parlando e la cosa è un po’ triste a sentirsi. #BlackLivesMatter: la cosa è complessa, siamo distanti dalla realtà americana, ma il razzismo c’è anche qui. Le proteste della comunità afroamericana sono giustissime e anche le pretese fatte sulla piattaforma, come quella di rivedere il ruolo della polizia americana che secondo il movimento ormai è talmente corrotta e razzista (con gente iscritta ancora al Ku Klux Klan) da essere irriformabile, e magari si può trasformare in una forza civile. Ma di tutto questo in Italia non si parla. A noi piace parlare d’altro per non parlare del vero problema, che è il razzismo, che se in America è contro la comunità afroamericana, qui è contro ogni migrante che secondo chi cerca voti facili  (e chi gli crede) ci ruba il lavoro, nonostante le cose stiano molto diversamente: in Europa siamo il paese che accoglie meno rifugiati. Ci fanno credere che siamo invasi, noi 60 milioni, da 50 mila disperati in cerca di una casa. Io non mi sento invaso e non si tratta di essere razzista contro gli italiani, è un modo stupido di rigirare la questione: il vero razzista è colui che si sente minacciato dal diverso, e soffre quindi di quella paura irrazionale chiamata xenofobia, e per questo genera un razzismo di comodo volto a salvare i suoi pochi privilegi, senza accorgersi di star giocando alla guerra tra poveri e di essere una pedina in mani altrui. Dovremmo essere tutti dalla stessa parte. Ma non ce la facciamo.

F: -Per quanto riguarda #BlackLivesMatter guardate il mio profilo Facebook! Non è un mistero da che parte sto: credo che l’omicidio di George Floyd sia un omicidio da Far West, e che le richieste del movimento afroamericano siano totalmente valide, ma come attivista per i diritti umani temo che un eventuale (e probabile) silenzio da parte delle istituzioni nell’accogliere le richieste di questo movimento, possa degenerare  a danno del movimento stesso in forme di protesta che abbandonino il terreno della non violenza, che secondo me è comunque il metodo di lotta politica più efficace e più fruttuoso. Per la legge contro l’omotransfobia penso che la libertà dell’essere umano sia un valore sacrosanto, non mi sento privato di nessun diritto dall’esistenza degli omosessuali o dei transessuali, anzi, mi sento arricchito: gli omosessuali e i transessuali sono diversi dagli eterosessuali, non sono inferiori, e la diversità è un arricchimento. L’inclusione dei soggetti che sono diversi da noi può solo arricchirci. Una legge sull’omotransfobia, che è sicuramente un fatto positivo, rispetto a quello che è il progresso dell’avventura dei diritti civili negli altri paesi testimonia come il nostro sia ancora molto indietro: dovremmo già parlare di nuovi modelli di famiglia. Dopotutto, l’essere qualificante per costituire famiglia non è essere donna e uomo, ma creare un tessuto di comprensione, di affetto e di conforto sociale.

Foto: TerniLife ©

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